Censura politica.
Ecco dunque l’epilogo, prevedibile: il Tar ha vietato la visione di“Apocalypto” ai minori di 14 anni.
Il fatto non è scandaloso di per sé, anche perché non avendo visto il film non posso esprimermi, ma piuttosto è vergognoso il modo in cui è maturato. Infatti in questi giorni abbiamo assistito ad un attacco politico e mediatico spropositato: un Ministro della Repubblica (Rutelli) si è scomodato per rassicurare la popolazione che sarebbe prontamente intervenuto a proteggere i più giovani dalla mortale minaccia portata loro da questo prodotto cinematografico, (in che modo poi non si sa, visto che egli non ha alcun potere in merito); i giornali di Sinistra (che in Italia fanno il bello ed il cattivo tempo) hanno impegnato le loro menti migliori per distruggere tale film (peraltro senza trovar argomenti migliori di qualche banale sfottò, come ha fatto “Repubblica”, quotidiano che pretende di essere autorevole). Insomma: un attacco compatto che certo ha pesato sulla decisione del Tar.
Ripeto: non nego la possibilità che la decisione finale fosse opportuna, ma nego che la decisione sia stata serena e ancor più nego che le critiche fossero prive di allergie politiche.
Infatti molti film violentissimi sono stati fatti vedere anche ai minori di 14 anni senza alcuna polemica, per non parlare poi di ciò che passa, nel silenzio collettivo, quella discarica chiamata televisione. E allora non si possono tacere due dettagli più che significanti: il primo, che Mel Gibson è di destra; il secondo, che la tempesta sul suo film è nata a Sinistra e si è gonfiata soprattutto su “Repubblica”. Strano? Io dico di no, per due motivi.
Il primo è che in Italia lo spettacolo (così come la cultura, così come l’arte, così come la magistratura, così come l’informazione, così come la televisione pubblica, così come i sindacati, così come le banche, così come le assicurazioni, così come le cooperative, ecc.) è territorio sinistro, territorio sul quale non si accettano sconfinamenti. Inoltre Gibson aveva già dato fastidio con il suo “The Passion” e c’era chi, tra gli intellettualoidi intolleranti rossi, se l’era certo legata al dito…già, perché per qualcuno mica si può fare un film sulla morte di Cristo, l’evento che ha cambiato l’umanità, no no: non è politicamente corretto…e poi sbancare perfino al botteghino! assolutamente imperdonabile!
Il secondo è che “Apocalypto” in particolare dà fastidio. Perché? Si parla dei Maya direte voi, nulla di più lontano dalla politica attuale… E invece no, perché l’impostazione data all’opera è chiaramente antirelativista. Ed essere antirelativista oggi è visto da certa parte politica come una delitto gravissimo: Gibson ha la colpa imperdonabile di dipingere la civiltà Maya come fondata sul sacrificio umano. In poche parole: egli ha la grave colpa di dire la verità. Questo aspetto è stato opportunamente sottolineato da Massimo Introvigne sul “Giornale”, che ha tra l’altro ricordato come le più recenti ed autorevoli ricerche archeologiche e storiche diano pienamente ragione a Gibson. La civiltà Maya, così come moltissime altre (anche contemporanee) non può nemmeno essere paragonata alla nostra civiltà Occidentale: questa è la verità che dà fastidio, che non si può dire, ma che risulta evidente.
La violenza in “Apocalypto” è strumento (così come in molti altri capolavori dell’attore e regista statunitense) per descrivere il male.
Un male che si può (Tar permettendo) e si deve giudicare.
Salo