sabato, marzo 29, 2008
Ambientalismi idioti e serre dogmatiche.
Franco Battaglia esprime da molto tempo i miei stessi dubbi sugli allarmismi ambientalisti e sulle ideologie catastrofiste.
La teoria dell'effetto serra è accettabile, ma non quando accusa l'uomo di essere il responsabile del riscaldamento terrestre: tutti sanno che il nostro pianeta ha attraversato momenti storici con temperature ben più alte delle attuali, ed in momenti in cui delle fabbriche non c'era nemmeno l'ombra! Il fatto che tale teoria venga insegnata come dogma sia nelle scuole che nelle università italiane è un'assurdità.
Proprio il Prof. Battaglia, in un bellissimo articolo sul Giornale di oggi, prende spunto dall'ultima idiozia ambientalista di questi giorni (acriticamente sfruttata per audience dalla Rai), e tra le altre cose scrive:
"La scienza ha già dimostrato che col riscaldamento globale l'uomo non c'entra, come fa fede il Rapporto del N-Ipcc - presentato a New York lo scorso 3 marzo e naturalmente ignorato dal Tg1 - dall'inequivocabile titolo: «È la natura e non le attività umane a governare il clima». L'N-Ipcc è un organismo scientifico internazionale, simile all'Ipcc ma privo del controllo politico dei governi (la «N» sta per «non-governativo»), di cui fanno parte fisici dell'atmosfera, geologi, climatologi e scienziati di scienze affini. Tra gli italiani, nell'N-Ipcc ci sono anch'io, ma segnalo soprattutto il professor Renato Ricci, già presidente delle Società di fisica sia italiana che europea.
Invece, l'Ipcc - voluto dai governi perché desse loro una patente scientifica alle dissennate scelte di politica energetica e ambientale, a cominciare da quel disastro che è il protocollo di Kyoto - è l'organismo che nel 2007 fu gratificato del premio Nobel, ma di quello politico per la pace, visto che non poteva prenderne uno per la scienza, essendocene poca o punto nei comunicati dall'Ipcc sottoscritti ogni 5 anni a partire dal 1990."
E proprio l'Ipcc politico-governativo noi dobbiamo ringraziare, se l'Italia perde ogni anno 27 miliardi di euro per rincorrere un protocollo ideologico, ascientifico ed applicato da pochissimi degli stati che l'hanno sottoscritto.
Old Whig
venerdì, marzo 21, 2008
America nella sana laicità. Europa tra estremismo laicista ed estremismo clericale.
Molto spesso si sente parlare di laicità come contrapposta al fondamentalismo religioso, all'invadenza dei cleri, al potere temporale delle guide spirituali.
In realtà la laicità non si oppone solo a questo, ma anche all'estremo opposto, cioè a quel laicismo intollerante che vorrebbe escludere i valori religiosi dal dibattito pubblico. Chi assume questa posizione dimentica che le stesse democrazie occidentali poggiano su valori religiosi e che tagliare le nostre radici senza sostituirle con nulla porta ad una deriva difficilmente controllabile, che rischia di mettere in discussione gli stessi diritti fondamentali degli esseri umani.
La vera laicità è dunque una sana moderazione, che separa nettamente lo stato da qualsiasi chiesa, ma che contemporaneamente riconosce a valori religiosi patrimonio collettivo un ruolo importante nella vita politica.
Riflettendo su questo mi sembra evidente la differenza tra Europa e Stati Uniti: mentre noi siamo sballottati da un estremo all'altro, con politici che o pendono dalle labbra della Chiesa oppure negano qualsiasi spazio pubblico per i valori cristiani, invece negli USA stato e chiesa sono doverosamente divisi ma religione e politica si intrecciano in un rapporto positivo.
Proprio sul tema della vera laicità americana e di quella malata europea è intervenuto recentemente il Professor Emilio Gentile, che in un'intervista all'Occidentale dice:
"L’America è il primo paese ad essersi fondato sulla dichiarata separazione tra Stato e Chiesa senza che questa implicasse, allo stesso tempo, alcuna separazione tra religione e politica.
In Europa, invece, il processo di separazione dello Stato dalla Chiesa è avvenuto con modalità differenti e molto più lentamente. In alcuni casi non è mai avvenuto, come nell’Inghilterra anglicana o nelle monarchie nordiche luterane, o è avvenuto in maniera estremamente conflittuale, come in Francia e in Italia.
E’ stato questo a determinare la separazione tra politica e religione."
Queste parole ci portano a notare le difficoltà sia storiche (un certo liberalismo ideologicamente anticlericale, una Chiesa cattolica invadente) sia presenti (una certa religione nettamente maggioritaria) che ci hanno allontanato e ci allontanano ancora dal modello di sana laicità americano.
Old Whig
mercoledì, marzo 19, 2008
Estinzione per benessere.
E se ci estinguessimo? La domanda, che sarebbe inquietante se non suonasse stupida, inizia a circolare in forme più pacate e in toni più moderati in vari Paesi del mondo, come il Giappone.
Di solito le coppie che scelgono di non procreare lo fanno o perchè insicure economicamente o perchè semplicemente affette da egoismo in fase terminale. I giapponesi, ovviamente, sembrano appartenere al secondo gruppo, anche perchè la stessa ricerca che sta allarmando il Paese del Sol Levante ha rilevato che le cause del poco sesso e dei pochi vagiti nipponici sono proprio l'amore per la carriera e la voglia di divertirsi.
Ecco dunque la nuova frontiera del benessere ipertecnologico: in una società sempre più ricca di oggetti ed attività che ci fanno ripiegare in noi stessi, non c'è più tempo per gli altri, men che meno per un figlio, che richiede cure ed impegno costanti.
Forse, dico forse (se non siete già troppo occupati...), sarebbe il caso di riflettere sul fatto che un mondo potrà anche avere comodità ed attrattive fantastiche, ma se non riempiamo tutto ciò, se non diamo un senso alle nostre vite, se ci abbandoniamo al superficiale e all'apparenza perdendo di vista le cose realmente importanti, allora magari non arriveremo alla sparizione fisica, ma a quella umana sì.
Il sorriso di un bambino vale più di qualsiasi narcisismo egocentrico o divertimento plastificato.
Old Whig
lunedì, marzo 17, 2008
Endorsement.
Il panorama politico italiano, storicamente orfano di una forza che incarni i valori del Conservatorismo Liberale, continua a non produrre idee, schieramenti, programmi che coincidano pienamente con ciò che desidero.
Quindi la scelta di voto alle prossime elezioni sarà, come sempre, quella per il “meno peggio”.
Detto questo, è ovvio che non prendo nemmeno in considerazione chi ancora si ispira alla malata e criminale ideologia comunista (Sinistra Arcobaleno, Sinistra Critica); e allo stesso modo rigetto sia una destra sociale antiamericana per inerzia più che per ragionamento (ForzaNuova-MSI), sia una destra illiberale che torna indietro di decenni non rinnegando il Fascismo (LaDestra-Fiamma Tricolore).
Per il PD, il discorso è più complesso: questo partito, nato da una fusione a freddo e scippato ai propri genitori naturali (che erano Parisi e Prodi) da uno scaltro sindaco (che aveva fintato la fuga in Africa), presenta tratti moderni (il nome) e positivi (la decisione di staccarsi dalle Sinistre comuniste), ma le contraddizioni interne (cattolici con Radicali, imprenditori liberisti con sindacalisti atavici, comunisti mai pentiti con liberali riformisti) lo rende una piccola nonché inquietante copia del disastro chiamato Unione. Inoltre il programma del PD è in parte troppo generico, in parte scritto da chi sa di perdere, in parte addirittura scopiazzato dai cavalli di battaglia più classici del Centrodestra. Infine Veltroni (che in questi giorni conduce una campagna elettorale all’insegna del più patetico “ma-anchismo”), dopo essersi vantato di avere il coraggio di correre da solo, si è alleato col partito di DiPietro, giustizialista, illiberale e tenace difensore degli assurdi privilegi della magistratura italiana.
E così sul ring, e nel mio cuore, restavano solo due contendenti al voto: il neonato PDL ed il sempreverde sogno di Centro di Casini e Tabacci. Ciò si spiega anche col fatto che io ho sì votato sempre per la ormai defunta Casa delle Libertà, ma in particolare il partito su cui ponevo costantemente la crocetta era proprio l’UDC di Casini!
La decisione è stata sofferta, ma ora che l’ho presa mi sento più leggero: voterò il Popolo della Libertà.
I motivi sono sostanzialmente cinque: 1. il PDL ha un programma snello, chiaro, condivisibile e preferibile alle vaghezze centriste; 2. Berlusconi ha giustamente affiancato al programma una carta dei valori che trovo coerente con il solco della tradizione liberale (anche se in alcuni punti si è persa l’occasione per sottolineare l’anima conservatrice); 3. Casini accusa gli altri candidati di rappresentare una politica vecchia di vent’anni, ma non si rende conto che lui è vecchio di sessanta, con la sua idea di un centro onnipotente simile alla DC del dopoguerra; 4. la scelta moderata e popolare del PDL è garantita dal fatto che ha accolto molti esponenti dell’UDC come Giovanardi, mentre ha rifiutato l’alleanza elettorale con LaDestra di Storace; 5. con l’attuale sistema elettorale votare l’UDC ha certamente meno senso che votare uno dei due partiti maggiori.
Infine a consolidare la mia decisione ha contribuito l’adesione al PDL di tre dei pochi esponenti del Conservatorismo liberale in Italia: Pera, Quagliariello e Mantovano. Tre voci originali e a volte critiche, ma sempre leali e costruttive.
Qui potete leggere il programma del Popolo della Libertà, che è ambizioso ma realista, e che mi pare la ricetta più coerente per riuscire a risollevare il Paese dopo l’incubo prodiano.
Quindi la scelta di voto alle prossime elezioni sarà, come sempre, quella per il “meno peggio”.
Detto questo, è ovvio che non prendo nemmeno in considerazione chi ancora si ispira alla malata e criminale ideologia comunista (Sinistra Arcobaleno, Sinistra Critica); e allo stesso modo rigetto sia una destra sociale antiamericana per inerzia più che per ragionamento (ForzaNuova-MSI), sia una destra illiberale che torna indietro di decenni non rinnegando il Fascismo (LaDestra-Fiamma Tricolore).
Per il PD, il discorso è più complesso: questo partito, nato da una fusione a freddo e scippato ai propri genitori naturali (che erano Parisi e Prodi) da uno scaltro sindaco (che aveva fintato la fuga in Africa), presenta tratti moderni (il nome) e positivi (la decisione di staccarsi dalle Sinistre comuniste), ma le contraddizioni interne (cattolici con Radicali, imprenditori liberisti con sindacalisti atavici, comunisti mai pentiti con liberali riformisti) lo rende una piccola nonché inquietante copia del disastro chiamato Unione. Inoltre il programma del PD è in parte troppo generico, in parte scritto da chi sa di perdere, in parte addirittura scopiazzato dai cavalli di battaglia più classici del Centrodestra. Infine Veltroni (che in questi giorni conduce una campagna elettorale all’insegna del più patetico “ma-anchismo”), dopo essersi vantato di avere il coraggio di correre da solo, si è alleato col partito di DiPietro, giustizialista, illiberale e tenace difensore degli assurdi privilegi della magistratura italiana.
E così sul ring, e nel mio cuore, restavano solo due contendenti al voto: il neonato PDL ed il sempreverde sogno di Centro di Casini e Tabacci. Ciò si spiega anche col fatto che io ho sì votato sempre per la ormai defunta Casa delle Libertà, ma in particolare il partito su cui ponevo costantemente la crocetta era proprio l’UDC di Casini!
La decisione è stata sofferta, ma ora che l’ho presa mi sento più leggero: voterò il Popolo della Libertà.
I motivi sono sostanzialmente cinque: 1. il PDL ha un programma snello, chiaro, condivisibile e preferibile alle vaghezze centriste; 2. Berlusconi ha giustamente affiancato al programma una carta dei valori che trovo coerente con il solco della tradizione liberale (anche se in alcuni punti si è persa l’occasione per sottolineare l’anima conservatrice); 3. Casini accusa gli altri candidati di rappresentare una politica vecchia di vent’anni, ma non si rende conto che lui è vecchio di sessanta, con la sua idea di un centro onnipotente simile alla DC del dopoguerra; 4. la scelta moderata e popolare del PDL è garantita dal fatto che ha accolto molti esponenti dell’UDC come Giovanardi, mentre ha rifiutato l’alleanza elettorale con LaDestra di Storace; 5. con l’attuale sistema elettorale votare l’UDC ha certamente meno senso che votare uno dei due partiti maggiori.
Infine a consolidare la mia decisione ha contribuito l’adesione al PDL di tre dei pochi esponenti del Conservatorismo liberale in Italia: Pera, Quagliariello e Mantovano. Tre voci originali e a volte critiche, ma sempre leali e costruttive.
Qui potete leggere il programma del Popolo della Libertà, che è ambizioso ma realista, e che mi pare la ricetta più coerente per riuscire a risollevare il Paese dopo l’incubo prodiano.
Old Whig
domenica, marzo 16, 2008
mercoledì, marzo 12, 2008
Primarie USA: Democratici verso lo scontro in Pensylvania.
Dopo le vittorie di Billary in Texas ed Ohio, in casa Democratica ogni singolo stato, anche il più piccolo e poco significativo in termini di delegati assegnati, è diventato importante, anzi fondamentale.
Così Obama può in questi giorni godersi due successi freschi freschi, quello in Wyoming e quello in Mississipi, che di norma sarebbero briciole, ma in queste primarie diventano diamanti.
Quindi mentre in casa dei Repubblicani McCain ricarica le batterie e si prepara con calma alle elezioni vere di novembre, i liberal al contrario sembrano sempre più dissanguati dalla sfida infinita tra il senatore afroamericano che grida al cambiamento senza mai entrare nei dettagli e la ex first lady meno femminile del mondo che si vanta della sua esperienza senza che nessuno ricordi un suo disegno di legge andato a buon fine.
I vertici del partito dell'asinello si stanno progressivamente rendendo conto del disastro d'immagine provocato dallo scontro a tratti durissimo tra i due candidati dello stesso partito; così da più parti si è alzata la voce dell'accordo, ovvero del ticket: il problema è che nessuno dei due vuole mollare, ovvero nessuno dei due si abbassa a fare il vice dell'altro! Almeno non prima del prossimo scontro importante (per numero di delegati), e cioè quello della Pensylvania, stato in cui Billary pare stia concentrando tutte le sue ultime risorse economiche.
E intanto McCain se la ride osservando lo scontro da cui uscirà il suo sfidante.
Old Whig
martedì, marzo 11, 2008
Giocare attorno al sangue e alla fame.
La Cina è lo stato che ospiterà i prossimi giochi olimpici, cogliendo l'occasione per mostrare al mondo la propria potenza interna, la propria modernità negli impianti sportivi, la propria organizzazione perfetta.
Peccato che stia perdendo l'occasione per mostrare anche un'evoluzione nel trattamento dei propri cittadini ed in quello dei cittadini di un Paese occupato militarmente da mezzo secolo, il Tibet.
La dittatura comunista cinese nel corso degli ultimi decenni si è aperta economicamente al mercato mondiale ed ha sfuttato la sua sterminata manodopera così come le sue ricchezze naturali per arricchirsi. Il benessere però è giunto solo in pochi centri finanziari dell'immensa nazione, mentre la maggior parte della gente vive di stenti e malnutrita, oppressa da leggi disumane e dipendente da agricolture primitive.
Nelle oasi industriali, siamo di fronte ad un mercato teso all'esportazione, e non libero, ma selvaggio, che proprio per la totale mancanza di regole interne e per lo scarsissimo rispetto di quelle internazionali sta mettendo in ginocchio numerose microeconomie di settore in varie parti del globo (compreso il Centro-Nord Italia).
La verità è che allo sviluppo economico e all'apertura di mercato non è mai corrisposto un processo di evoluzione politica, così in Cina continua a governare un consiglio di partito, continuano ad essere assenti la libertà di stampa e quella religiosa, continuano a scomparire nei buchi neri del sistema carcerario decine di migliaia di persone innocenti ogni anno.
Sfruttamento industriale del popolo e mantenimento delle strutture dispotiche: questa è la ricetta cinese che piace tanto a Raul Castro. Altro che aperture...
L'ennesima notizia di violenza ed abuso di potere da parte della polizia di regime non sorprende.
Ciò che sorprende è l'incapacità dell'ONU di svolgere con costanza ed equilibrio il proprio compito di garante mondiale dei diritti: il suo difetto è evidentemente congenito, poichè ospita permanentemente nel proprio organo decisionale più importante proprio la Cina comunista, e allo stesso tempo garantisce rappresentanza nell'assemblea a dittatori e tagliagole della peggior specie e agli stati canaglia più implicati nella violazione delle norme internazionali.
Altra cosa che sorprende è la narcotizzazione delle coscienze di chi vive in democrazia: se le televisioni di tutto il mondo hanno comprato i diritti per le Olimpiadi, significa che son certe dell'interesse degli spettatori, per nulla infastiditi dal fatto che a pochi chilometri dallo stadio dove si pratica il lancio del giavellotto potrebbe esserci una delle prigioni dove si praticano la tortura dei religiosi o l'esecuzione dei blogger troppo critici verso il governo.
Old Whig
venerdì, marzo 07, 2008
Con Cuba la Chiesa sbaglia.
La recente visita del Cardinal Bertone a Cuba mi aveva dato fastidio per i troppi sorrisi e le latitanti critiche ad uno dei regimi comunisti ancora esistenti al mondo, ma mi ero consolato pensando al fatto che la Chiesa da sempre tiene aperta la via del dialogo, come strumento costante per salvare il salvabile, anche nelle situazioni più drammatiche.
Tuttavia ripensandoci bene, e soprattutto leggendo un recente articolo del liberale Armando Valladares, non posso non confessare a voi che mi leggete abitualmente il mio dispiacere verso un atteggiamento di alleanza passiva che dura nel tempo e che assume i gravissimi connotati di un silenzio colpevole verso i crimini impuniti della tirannia castrista.
Sapete che sono un cristiano praticante e che non mi piace chi attacca sempre la Chiesa per partito preso, senza riconoscerne mai i meriti. Ma in questo caso sono io il primo a riconoscere e a farvi notare che la Chiesa sbaglia, pensando di aiutare i perseguitati cubani tacendone le sofferenze e stringendo la mano al fratello di Fidel, che ha una vita da torturatore alle spalle.
Il Vangelo dice di sedersi a tavola con i peccatori e di essere pronti a perdonare tutti, anche gli assassini. Ma parlare con i criminali non significa coprirne le atrocità.
Old Whig
mercoledì, marzo 05, 2008
Primarie USA. Esce Huckabee, frena Obama.
Le primarie di ieri in Ohio, Texas, Rhode Island e Vermont sono state una svolta decisiva.
In campo Repubblicano hanno sancito la definitiva vittoria di McCain, l’eroe del Vietnam che gioca fuori dagli schemi politici e piace molto agli indipendenti. Il senatore dell’Arizona infatti ha conquistato tutti e quattro gli stati, arrivando così alla quota di delegati matematicamente necessaria per la nomination. L’unico avversario che ancora gli teneva testa, il conservatore Huckabee, si è ritirato ed ha offerto il suo appoggio all’avversario con cui ha del resto combattuto più lealmente e con maggior rispetto dall’inizio (ormai lontano) della campagna. Tutti noi conservatori siamo grati al governatore dell’Arkansas per la sua campagna e per la sua tenacia, che lo ha portato a cogliere risultati insperati e che ha tenuto alta la bandiera di quei valori come la Fede, la Famiglia, la Vita, la solidarietà verso i poveri, che mai potranno mancare ad una Destra che vuole essere vincente negli USA.
In campo Democratico, la sepoltura politica di Billary è purtroppo rinviata.
La donna meno femminile d’America infatti ha compiuto una sorta di miracolo, riuscendo a stoppare la corsa del rivale Obama, il quale ha perso in tre stati e vinto solo nel meno influente (per numero di delegati assegnati), cioè il Vermont. La corsa alla nomination dei liberal resta dunque aperta e qualcuno ipotizza addirittura che si arrivi alla convention finale con l’incertezza a farla ancora da padrona. Ciò che emerge con insistenza da queste primarie democratiche è la grande incertezza dell’elettorato di Sinistra americano, diviso tra chi vuole cambiare (come recita il celebre slogan del senatore dell’Illinois) e chi, non fidandosi della retorica obamiana, preferisce rigettare l’America tra i tentacoli del vecchio establishment degli anni ’90.
Non è un caso che il clan dei Kennedy, dinastia decapitata e insidiata nel primato storico, si siano schierati coi primi.
Old Whig