Il futuro del mondo, la missione dell'Occidente.
La crescita economica della Cina e le sue mire politiche (confermate dal mastodontico investimento in armi e tecnologia bellica avviato dagli anni '90) la stanno conducendo verso la leadership dell'Asia, a discapito dell'India, ma soprattutto degli USA, che dovranno ammettere la nascita di una potenza regionale e, quindi, la fine della loro influenza globale.
L'Asia, e l'estremo oriente in particolare, è un caos geopolitico ricco di conflitti striscianti e rivalità mai scomparse del tutto. Eppure c'è la possibilità che molti stati emergenti, riconosciuta la supremazia cinese, decidano di non opporvisi ed anzi di allinearsi ad essa. Lo stesso Giappone, dopo essere divenuto uno degli stati costituzionalmente più pacifisti del mondo, e dopo aver rotto da tempo (più o meno dall'amministrazione Clinton) i rapporti idilliaci con gli USA, potrebbe decidere di non fronteggiare la Cina ed accettarla come stato guida.
Il recente
incontro tra Hu Jintao, capo del Partito Comunista Cinese, e Wu, capo del governo di Taiwan, sembra togliere un altro storico contrappunto regionale dalle mani dell'Occidente. Se il
processo di allineamento alla nuova nazione egemone dovesse continuare (il che non è scontato, ma possibile), la
Cina aumenterebe il suo
potere,
senza aver compiuto nessun passo in avanti nè sui più elementari
diritti umani nè sulle
libertà democratiche.
In questo quadro preoccupante, chi potrebbe giocare meglio e con tranquillità la sua carta è la Russia, che diventerebbe decisiva per gli equilibri mondiali. I nostri problemi con la Russia sono, in ordine di gravità, sostanzialmente i seguenti quattro: la Nato che tende ad includere Paesi sempre più ad Est; la questione dello scudo spaziale americano; l'appoggio della Russia all'Iran fondamentalista; le diatribe sui possedimenti artici.
Sono tutte questioni su cui un accordo si può trovare, a patto però di ribaltare completamente la nostra visione del Paese di Putin: non dobbiamo raggiungere una tregua momentanea e sospetta ad entrambi, ma realmente cambiare la Storia, onestamente sentirci alleati ed amici. Un punto che potrebbe giocare a favore di tale scelta bilaterale è l'interesse comune di Occidente e Russia a combattere il terrorismo islamico: è evidente che il civettare di Putin con Ahmadinejad non rappresenta una strategia a lungo termine, ma solo un dispetto stizzito che risponde al progetto americano di uno scudo spaziale.
Altro alleato "per convenienza comune" dell'Occidente potrebbe essere l'India, ma in questo caso bisogna stare attenti a non perdere il Pakistan, che sta faticosamente ma in maniera promettente evolvendo verso una democrazia più consapevole e meno soggetta ai colpi di kalashnikov (in questo senso la morte violenta della Bhutto è testimonianza proprio della paura profonda dei fondamentalisti di perdere il Paese).
Tutti i discorsi fin qui fatti però valgono assai poco senza una premessa fondamentale: l'Occidente deve agire unito. Lo scacchiere internazionale non è più nelle nostre sole mani, e sono parecchio lontani i tempi in cui la Gran Bretagna imponeva alla Cina trattati commerciali. Non siamo più in grado di controllare tutto e rispetto a potenze come la Cina siamo addirittura in declino: per questo motivo l'Europa deve evitare particolarismi da vetrina, antamericanismi di riflesso più che di riflessione. L'asse Schroder-Chirac, che negli ultimi anni si era opposto con la puzza sotto il naso alla potenza USA, non è stato in grado di proporre nessuna linea di politica estera alternativa, nessuna strategia di lotta al terrorismo islamico alternativa, nessun piano di sicurezza per Israele alternativo, nessun processo di pace mediorientale alternativo. Di fronte a ciò, l'unilateralismo americano è da condannare, ma è quanto meno un po' più comprensibile.
Se non vogliamo tra due generazioni ritrovarci ad obbedire ai diktat internazionali della Cina; se non vogliamo fra tre generazioni ritrovarci non più padroni a casa nostra, sconfitti nella guerra al terrorismo e all'invasione islamica, allora dobbiamo agire uniti: dobbiamo riappropriarci della nostra identità occidentale e concordare con il nostro stato guida, gli USA, posizioni comuni (e, quindi, più forti) su ogni questione di rilievo.
Il che non vuol dire inasprire necessariamente i rapporti con tutto il resto del mondo, o lanciarsi in folli dichiarazioni di arrogante supremazia, anzi tutto il contrario: significa essere duri con chi non vuole il dialogo (vedi Iran), ma contemporaneamente aprirsi a chi lo desidera. Aprirsi per esempio alle esigenze dell'America Latina, nostra alleata naturale per cultura e tradizione; aprirsi per esempio alle richieste di maggiore aiuto che vengono da quella parte del mondo islamico che sta faticosamente costruendo tentativi democratici (Afghanistan, Iraq, ma anche Pakistan, Libano, Egitto); aprirsi per esempio, come ho già scritto sopra, alla Russia, nazione che se dalla nostra parte potrà far abbassare i toni e far rivedere i progetti imperialistici alla Cina.
Ma ancora una volta lo ribadisco: tutto questo andrà fatto uniti. Europa e Stati Uniti da soli solo più deboli, mentre uniti si completano a vicenda.
L'Occidente non è perfetto, ma porta avanti valori che vanno preservati; l'Occidente non è sempre coerente, ma è l'unica civiltà a credere in diritti inviolabili che toccano ogni uomo, di qualsiasi cultura.
L'Occidente è uno, e solo unito può vincere le sfide del domani.
Old Whig